domenica 9 giugno 2013

Modifica L'Ing. Ugo Gobbato, il realizzatore degli impianti industriali Alfa Romeo a Pomigliano d’Arco nel 1939

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Lunedì 14 novembre 2011 alle ore 1.14



L'Ing. Ugo Gobbato, Direttore Generale dell'Alfa Romeo fino al 1945

A cura di Luigi Iodice
Per molti Ugo Gobbato è il nome dello stadio di calcio di Pomigliano. Ma chi è Ugo Gobbato?
Questa nota è un resoconto della sua vita , della vita del Direttore Generale dell’Alfa Romeo, ai tempi della realizzazione a Pomigliano d’Arco dell’aeroporto e degli impianti industriali per la produzione di motori aeronautici Alfa Romeo.

L’Alfa Romeo entra a far parte dell’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) sin dalla sua fondazione nel 1933.
Nel 1938 l'IRI incarica l'Alfa Romeo di fondare nel Sud un Centro Industriale Aeronautico con abbinato un piccolo aeroporto.
La scelta ricade su Pomigliano d'Arco. Nel Verbale del Comitato Tecnico dell’IRI del 4 marzo 1939 si legge: “le esplorazioni compiute nella zona, partendo sempre dal criterio di installare il nuovo stabilimento là dove maggiormente sia sentito il disagio della disoccupazione operaia e dove per la facilità delle comunicazioni sia possibile un rapido e comodo allacciamento con i principali centri della zona…” .
Grazie all'opera dell'ingegnere Ugo Gobbato si da vita ad un Centro Aeronautico tecnologicamente all'avanguardia, in grado di produrre motori per l'epoca tecnologicamente molto evoluti.
Questa nota vuole rendere omaggio a chi si è impegnato a realizzare questo progetto con passione, nei tempi previsti, credendo pienamente nella sua funzione e seguendo in prima persona i lavori. Animato da un pieno senso dello Stato.
Pomigliano gli deve molto, gli deve lo sviluppo industriale.  Allo scoppio della seconda guerra mondiale il complesso industriale appena ultimato era tra i più grandi e moderni in Europa.
Nel parlare di Gobbato di seguito si fa principalmente riferimento al libro : Ugo Gobbato. “La leggenda di un innovatore senza epoca”  a cura di Marino Parolin. 2009. Comune di Volpago del Montello.
Il libro fa parte della biblioteca privata del Dott. Gennaro Caprioli, pomiglianese, che lo ha messo a disposizione quale documento bibliografico per la realizzazione di questa nota. In particolare vengono considerate le relazioni, ivi pubblicate, tenute dal Prof. Duccio Bigazzi (1947-1999), grande storico dell’automobilismo, il 25 novembre 1995 al Museo della Scienza e della tecnica di Milano.

UGO GOBBATO

Gobbato nasce nel 1888 a Volpago del Montello, vicino a Treviso, da una famiglia di piccoli agricoltori, non ricchi.
Compie studi tecnici e si diploma perito industriale a Vicenza, all’Istituto Industriale “Alessandro Rossi”. Mentre segue questi corsi lavora come apprendista d’estate, nelle ferie, poi appena diplomato diventa capo officina in una piccola azienda idroelettrica della provincia veneta.

Dopo questi mesi di esperienza pratica, va a studiare in Germania e si laurea ingegnere al Politecnico di Ingegneria di Zwickau in Sassonia.

Ritorna in Italia nel 1909, "compie ancora esperienze in piccole aziende, deve fare un anno di militare, poi va alla Ercole Marelli, dove nel 1912 ottiene la direzione di un reparto di produzione in serie di piccoli motori imiusîriali e di ventilatori elettrici. Tre anni di esperienza in questa, che è una delle poche imprese italiane che fa produzione di serie.
Poi la guerra del 1915-18. Lo troviamo in questo caso impegnato come militare, in compiti tecnici prima con i minatori al fronte a scavare trincee e camminamenti, poi lo troviamo a Firenze a produrre motori di aviazione. Anche questo è un momento interessante della carriera multiforme del personaggio, che prosegue poi a Taliedo, il ben noto campo di aviazione creato da Gianni Caproni dove si fanno riparazioni e dove incontra alcuni piloti della squadriglia Baracca, stabilendo primi rapporti anche con questo mondo.

Finisce la guerra, viene smobilitato, e coglie l’occasione di andare alla Fiat.

La Fiat aveva già incominciato nel corso della guerra a riorganizzare i suoi impianti e ad impiantare lo stabilimento del Lingotto, ma le idee non erano chiarissime su che cosa si sarebbe dovuto fare. L’unica chiarezza era che si doveva costruire un enorme stabilimento in linea, secondo la logica fordista. Gobbato, insieme ad un gruppo di altri ingegneri, viene chiamato per dirigere con criteri “scientifici”, parola all‘epoca molto di moda, l’organizzazione della produzione.
Nel giro di due anni, il giovane ingegnere Gobbato diventa direttore di tutto il complesso del Lingotto. Il Lingotto non era stato ancora inaugurato, era ancora in fase di avviamento, e in parte di costruzion, e Gobbato vi trasferisce gli impianti della Fiat Centro.
Rimane al Lingotto dal 1921 al 1929 quando la Fiat lo assegna ad incarichi all’estero, sono tre periodi di lavoro all’estero: prima in Germania alla NSU, che la Fiat aveva rilevato (produceva sia motociclette che automobili con risultati non brillanti). Gobbato va nel 1929 a Heilbronn e in qualche modo riesce a riavviare una produzione che presenta non pochi problemi.
Poi, nel 1930 va in Spagna, dove la Fiat aveva contemporaneamente avviato due iniziative in collaborazione con la Hispano-Suiza a Barcellona e a Guadalajara.
Una esperienza internazionale più interessante è però sicuramente quella russa. Nell’estate del ’31 viene mandato a Mosca sempre dalla Direzione della Fiat, a costruire il primo stabilimento russo di cuscinetti a sfere.
Un’opera colossale varata nell’ambito del piano quinquennale sovietico, una fabbrica che doveva dare lavoro a quindicimila operai, doveva produrre cuscinetti a sfere più o meno per tutta l’industria russa.
È uno stabilimento prodotto e consegnato chiavi in mano, e Gobbato ne è l’artefice insieme ad altri tecnici di notevole valore.

L'ing Gobbato a Mosca nel 1931-32.Nella foto si nota anche Palmiro Togliatti
Gobbato era sicuramente l’anima del progetto, e al progetto diede molte delle sue energie fino a ritornare in Italia come molti ricordano con un forte esaurimento nervoso, per le difficoltà incontrate nei rapporti con la burocrazia russa e per le difficoltà di ogni genere a cui aveva dovuto far fronte in questi due armi.
Indubbiamente, però tornava con una fama di ingegnere realizzatore di grandi progetti.

Nel dicembre del ’33, quando la situazione dell’Alfa Romeo era molto difficile e c’era stato un tentativo più o meno evidente di mettere le mani sull’impresa milanese attraverso l’Ing. Corrado Orazi, direttore della OM di Brescia, che era stato chiamato a dirigere l’Alfa Romeo.

A questo punto viene chiamato all’Alfa Romeo Gobbato, che vi arriva su diretta richiesta di Mussolini e con l’accettazione della Direzione Fiat. La Fiat accetta di privarsene probabilmente pensando che in qualche modo sarebbe stato bene avere all’Alfa una presenza di un uomo che era in stretti rapporti con l’azienda torinese. Nell’esperienza svolta all’Alfa 1933-45, Gobbato si muove però spesso in contrasto con l’azienda torinese, agisce nell’interesse dell’Alfa e riesce a conquistare una quota di mercato notevole per quanto riguarda i motori di aviazione a spese della Fiat da una parte, e del gruppo Caproni dall’altra.

L’epilogo è noto: Gobbato viene ucciso il 28 aprile del 1945 e l’industria italiana perde un quadro che sarebbe stato sicuramente molto prezioso nel dopo guerra.
Nei tragici giorni successivi  l'8 settembre 1943 Gobbato rimase al suo posto di direttore generale non pensando a affatto a fuggire e volendo attendere la fine della guerra. Il suo attaccamento al lavoro venne probabilmente scambiato per collaborazionismo con l'invasore tedesco e con il fascismo repubblichino. Molte testimonianze ricordano proprio Gobbato adoperarsi, invece, per impedire che materiali e macchinari fossero distrutti e soprattutto per impedire la deportazione di uomini in Germania.
Gobbato fu esautorato da ogni incarico dal Comitato di Liberazione Nazionale dopo la Liberazione  di Milano, avvenuta il 25 aprile 1945 e sottoposto in data 26 aprile a processo davanti ad un Tribunale del Popolo allestito nell'azienda venendo assolto. Subì un secondo processo il giorno successivo,  27 aprile, da parte di un Tribunale Politico esterno all'Alfa Romeo, formato dal gruppo di Giuseppe Marozin, comandante partigiano delle Brigate Matteotti. Gobbato fu difeso da molti operai che dimostrarono la infondatezza delle accuse dei due accusatori gli unici due testi a carico si dimostrarono infondate. Anche nel secondo  processo venne assolto.
La mattina del 28 aprile 1945 fu ucciso nei pressi di via Domodossola, in zona Fiera., mentre tornava in bicicletta dal proprio ufficio. Egli  venne raggiunto da una vettura con tre uomini armati a bordo che, scesi dall'auto, fecero fuoco su di lui.
L'inchiesta successiva della magistratura stabilì che il primo a sparare e l'unico responsabile identificato fu uno dei due operai che avevano deposto al processo del giorno precedente che , evidentemente insoddisfatto per l'assoluzione di Gobbato, decise di regolare i conti nella confusione di quei giorni. L'istruttoria, purtroppo, venne  archiviata il 23 giugno 1960 in quanto  trattandosi di un delitto determinato da motivi politici, il reato doveva essere dichiarato estinto per effetto dell’amnistia concessa dal DPR n.460 dell’11 luglio 1959.
Ritorniamo alla biografia di  Gobbato. Egli è un uomo di officina, nasce come uomo d’officina e per tutta la vita, anche quando diventa massimo dirigente dell’Alfa Romeo e assume un ruolo importante nell’I.R.I., rimane un uomo di officina.
Questo significa che è un uomo che non solo non ha paura di entrare nei reparti, ma vuole conoscere cosa succede nell’officina tutti i giorni, per vedere come funzionano le macchine, come potrebbero funzionare meglio, per capire se un reparto è gestito con efficienza o è gestito in maniera insufficiente.
Vede i suoi uomini e conosce i quadri, i tecnici, i caposquadra, i caporeparto e anche gli operai.
È un uomo legato a una certa visione della Nazione, come molti altri ingegneri, tecnici manager di quel periodo, cioè  uomini legati alla nazione, che vedono il loro essere dei tecnici come un impegno per il progresso, per l’emancipazione del Paese, per il superamento del distacco, del complesso di inferiorità che gli italiani devono avere all’estero: non siamo il Paese dei suonatori
di mandolino, vogliono dimostrare, siamo un Paese industriale e moderno.
Però in Gobbato questa dimensione nazionalista, è anche pienamente compresa del salto che l’Italia deve fare per adeguarsi alla realtà internazionale ed è anche assolutamente scevra da nazionalismo ristretto.
Gobbato va in Germania ad imparare, va in America ad imparare, non è né filo tedesco né filo americano, va imparare ovunque ci sia da imparare, va in Russia ad imparare perché anche dalla Russia può imparare qualche cosa.
Poi la Germania, la Spagna, i rapporti con il  mondo dell’industria automobilistica e aeronautica francese e inglese, era un uomo che parlava molte lingue e che aveva un forte legame con la cultura tecnica di tutti questi paesi, ma che riusciva a non farsi affascinare in maniera acritica.

Gobbato va negli Stati Uniti, prima nel 1922 , poi ci ritorna nel 1926, perché al Lingotto le cose non vanno bene. La Fiat ha speso cifre incredibili in un edificio industriale che forse è il più bello del mondo ma la fabbrica non produce quanto dovrebbe.
Dopo due mesi di visite a stabilimenti, e fabbriche tra le più rappresentative, torna con la soluzione di una sconcertante semplicità :  in America non hanno macchine migliori e più avanzate delle nostre e quindi la soluzione è in tre semplici parole: studio, ordine, metodo.
Questa è la stessa conclusione a cui arrivano i tecnici della Renault e Citroen che visitano gli Stati Uniti in questi anni: ordine, metodo, sistematicità, pulizia sono i termini ricorrenti in questi resoconti europei di viaggi negli Stati Uniti.
Questo significa in realtà, che il bandolo è nell’organizzazione. Gobbato dice: “Le loro linee di lavorazione corrono come un torrente di montagna limpido e ben nutrito, le nostre come un rigagnolo che esce torbido in pianura da una successione cli stagni”.

Per Gobbato il tema centrale dell’organizzazione della produzione è la distinzione tra gruppo deliberativo, come diceva lui, e gruppo esecutivo, cioè tra staff di comando dell’azienda che deve progettare e pianificare tutto, dal prodotto fino ai cicli di produzione, e gruppo esecutivo che deve occuparsi della fabbricazione vera e propria. Una divisione netta dei compiti e delle funzioni, quindi una divisione in cui da una parte ci sono gli organismi di staff che riflettono, pensano, vedono, confrontano l’esperienze italiane ed internazionali e dall’altra ci sono gli uomini di officina, di produzione.
Naturalmente, però da uomo di produzione com’era, Gobbato non interpreta rigidamente questa divisione perché il rischio, come tante esperienze hanno verificato, è che questi due mondi si separino e quindi la progettazione faccia delle bellissime cose, ma del tutto inapplicabili, che gli uffici analisi metodi lavorino su tempi non realistici e che quindi i capi reparto siano costretti a tenere materiale da parte e largheggiare informalmente sui tempi come più o meno facevano prima.
La novità e la finalità del lavoro di Gobbato è in questo: chiarezza teorica nella divisione dei compiti, ma flessibilità organizzativa e capacità di usare uomini cerniera, di agire lui stesso come uomo cerniera, tra questi due mondi.
La scoperta di Gobbato è che dietro il fordismo, dietro questo processo automatico ideale ci deve essere l’organizzatore o il Taylorista, anche se Gobbato non è un Taylorista dottrinario.

Gobbato, il manager pubblico.

L’impresa pubblica sembra oggi una categoria in via di estinzione. Ma non dobbiamo dimenticare la storia, oggi soprattutto, quando si tende in molti campi a dimenticare il passato. Cosi, non dobbiamo dimenticare quanto l’industria italiana deve a manager pubblici come  Sinigaglia, Rocca, Menichella, Mattei e molti altri. Personaggi che negli anni ’3O, ’40, ’50 hanno costruito gran parte di quel che abbiamo oggi, di quel che è diventata l’ltalia.
Gobbato è fra questi sicuramente uno dei personaggi di spicco per il suo senso dello Stato, del bene collettivo, che è diventato cosa rara in questo paese in anni recenti.
Nel 1944-45, nello sfascio in corso nel paese, Gobbato in discorsi pubblici si lancia con toni molto forti contro i profittatori di regime, gli opportunisti, contro la gente che si e infilata nelle aziende per tirarne fuori profitti e vantaggi personali, arricchendosi “all'ombra della dittatura”, un espressione piuttosto forte nel ”44.
Gobbato insiste sull’equa ripartizione degli utili e sulla necessità di una comune onestà nella prestazione, anche da parte dei manager che sono in fondo solo dei prestatori d`opera.
Lui stesso si vede, appunto, “prestatore d'opera”, dipendente pubblico, in questo caso.
In questo senso Gobbato ottiene la massima fiducia da parte dei dirigenti de1l”l.R,l.
L”l.R.I. da soldi perché sa che i risultati ci saranno, non è un esborso a fondo perduto. Nel caso di Gobbato, non si discute mai, l’IRI finanzia con larghezza perchè sa che Gobbato realizzerà quello che promette.

Lo stabilimento di Pomigliano

Il primo stabilimento Alfa di Pomigliano per esempio, ė finito male, ma Pomigliano ė un risultato industriale di grandissima importanza, realizzato in tempi straordinariamente difficili. Se non riesce a funzionare a pieno regime è perché i programmi cambiano continuamente, e gli ostacoli tecnici sono veramente pesanti: ci sono problemi di macchinari, di formazione professionale, di reclutamento di manodopera.

Ugo gobbato ed Autorità del governo in visita allo stabilimento di Pomigliano in fase di costruzione. 1939.
Gobbato accetta di impegnarsi su Pomigliano perché è una sfida straordinaria, ha a disposizione mezzi e risorse per costruire uno stabilimento ex-novo, cosa che non aveva potuto fare al Portello nel 1934, quando aveva dovuto affrontare una struttura impiantistica e organizzativa inefficiente che ’ doveva essere cambiata a poco a poco con spostamenti di reparti, faticosi, complicati. Il Portello negli anni ’3O è sempre in ristrutturazione, con ottimi risultati ma in condizioni senz’altro precarie.
Pomigliano può invece essere pianificato ex novo, è un impianto destinato a produrre motori aerei e può disporre, almeno sulla carta, di tutte le risorse possibili. Una grossa incognita è la manodopera perché non c’è manodopera specializzata, e questa è la sfida che Gobbato trova più interessante, più affascinante: formare manodopera.

Linea di produzione dei motori aerei a Pomigliano d'Arco
Si possono riportare alcune espressioni di Gobbato, che nella riunione di progettazione di Pomigliano dice ad esempio: bisogna agire a Pomigliano “con fede di apostolo e con entusiasmo” per formare le nuove maestranze, l’obiettivo in fondo più importante per lui è formare operai, lavoratori, quadri tecnici in grado di dirigere questa fabbrica in autonomia.

Motori aeronautici stellari a Pomigliano d'Arco
 Sempre ispirato a questa forte carica etica dice ancora: in questa nuova fabbrica vogliamo che regni “la più perfetta armonia” e vogliamo soprattutto che “tutto sia assolutamente cristallino”, dal punto di vista dei lavori, della gestione, delle commesse.

Scoppiati gli eventi bellici sul suolo italiano sia gli stabilimenti di Milano che di Pomigliano vengono sottoposti a continui bombardamenti. Durante tutto questo periodo l’Ing. Ugo Gobbato si prodiga con tutti i mezzi possibili per riavviare gli impianti produttivi. Alcune linee produttive vengono decentrate neel grotte della gardesana sul lago d’Orta. Lo stesso succede a Marigliano (Na) dove vengono avviate delle linee di produzione, dal momento che lo stabilimento di Pomigliano comincia ad essere pesantemente bombardato dalle forze alleate.

Commovente l’appunto (ritrovato) fatto a margine di una riunione in cui si parlava di problemi tecnici e di materiali. La riunione andava evidentemente per le lunghe e Gobbato si mise a scrivere un appunto che non c’entrava niente con la riunione ma che mostra la complessità degli stati d’animo che agivano dentro questo personaggio, come molti altri che hanno fatto scelte diverse.  Forse non c’è neanche bisogno di un commento: “Sensazione: noi non sbocchiamo; i tedeschi non seguono il nostro governo e non lo badano, il nostro governo non segue nè capisce noi. Allora noi palpiamo la realtà attraverso un guanto spesso che non ci dà sensazioni esatte e che ci porterà al disastro senza che ce ne accorgiamo e quando credevamo di evitarlo……….Non potremo ribellarci perché con la situazione del nostro governo vorrebbe dire tradire ancora. Allora per non tradire bisogna morire oppure bisogna disobbedire al proprio governo e svincolarsi dalla schiavitù di obbedienza ingiustificata in cui ci tiene e tentare di non morire o morire facendo qualche cosa per evitar la morte per strangolamento lento progressivo”.

Queste parole rappresentano il dramma di un personaggio con un fortissimo senso del dovere e della coerenza che si trova in una condizione di impasse.
Gobbato si prodiga per evitare la chiusura e per salvare gli operai dalla deportazione in Germania. Il 20 settembre 1943 le truppe tedesche in ritirata, agli ordini del colonnello Scholl, distruggono in maniera scientifica tutti gli impianti industriali dell’area napoletana, tra cui in maniera dettagliata lo stabilimento di Pomigliano d’Arco.
 
20 settembre 1943. Le truppe tedesche in ritirata, agli ordini del colonnello Scholl, distruggono in maniera scientifica lo stabilimento dell'Alfa Romeo di pomigliano
Gobbato non sa cosa fare: non può lasciare l’Alfa, perché rischierebbe di perdere tutto quello per cui si è battuto per anni; deve quindi rimanere, ma non vuole fare il doppio gioco, per coerenza ancora una volta, ne sa essere un camaleonte; vuole essere giusto con se stesso e alla fine  paga.
È uno dei pochi dirigenti d’azienda, manager o imprenditori che paga la coerenza e di questo noi non possiamo che rammaricarci, è il meno che possiamo dire, perché un uomo come Gobbato nel corso del dopoguerra avrebbe potuto dare un eccezionale contributo all’industria e alla società italiana.

Concludiamo questa nota con alcuni pensieri di Gobbato. Egli sosteneva  (e questo oltre 70 anni fa in pieno regime fascista) : sia l’azienda “sacra all’opera ed esclusa da ogni influenza che non sia rendimento; sottratta ad influenze di qualsiasi specie, che non siano progresso o miglioria del rendimento”. È il suo programma, il suo messaggio: l’azienda come possibile centro della società, per ritrovare una coesione che non può essere affidata né alla famiglia né all’individuo come atomo della società, né allo Stato come forza troppo lontana dalla vita delle persone. Gobbato invece pensa all’azienda come nucleo di una possibile ricostruzione italiana : “Che se poi partiti politici, istituzioni ed iniziative di diversa natura abbisognano di ausilii o sussidi, mai questi devono essere chiesti o dati dall’azienda, la quale non deve, ne può, con ciò e per ciò, aumentare o diminuire in simpatia verso il favorito o sfavorito: piaceri e favori può farli il singolo col suo patrimonio individuale: e, solo mediante ciò che personalmente gli appartiene, può guadagnarsi benemerenza e considerazione individuale”.
Il regime era abituato a sostituire dirigenti, tecnici, a far assumere tutti i personaggi che voleva.
Ci sono moltissime pressioni del federale di Milano per far assumere personale più o meno qualificato all’Alfa. La Federazione di Milano del Partito Fascista, tra il ’27 ed il ’33, cerca continuamente di mettere direttamente le mani sull’Alfa: ci sono molti candidati alla direzione Alfa in quegli anni, che vengono sostenuti dal PNF.
Con la direzione Gobbato tutto questo cessa; Gobbato non accetta imposizioni e se si va a guardare nel1’archivio centrale dello Stato, il giudizio su Gobbato è disastroso perché arrivano molti rapporti di polizia e anonimi su di lui, descritto come un incompetente, un incapace ecc..
Ecco, in qualche modo la gestione dell’Alfa sfuggiva al controllo diretto del Regime.

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