domenica 9 giugno 2013

‘O PANARIELLO da " Acquerelli Pomiglianesi" di Mario De Falco

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Domenica 3 marzo 2013 alle ore 1.10


L’interessante racconto che vi proponiamo fa parte di un pregevole libretto di Mario De Falco dal titolo“Acquarelli Pomiglianesi”
– Ricordi di personaggi, usi e tradizioni di una Pomigliano che non c’è più. Il libretto è stato pubblicato nel 2003 dal Comune di Pomigliano d’Arco -Assessorato alla Città Educativa ed è nella disponibilità della Biblioteca del Comune di Pomigliano. Dedicato a Pomigliano d’Arco ritiene che questo racconto, ricco di riferimenti a personaggi di rilievo nella vita pubblica pomiglianese, come il Comm. Ercole Cantone, possa dare al lettore, giovane e meno giovane, uno spaccato della vita politica a Pomigliano durante il fascismo e subito dopo la guerra, secondo i ricordi dell’autore.

 'O Panariello  (di Mario De Falco)

Nei miei ricordi, fra i personaggi famosi, credo che debba citare, per primo, il Comm. Ercole Cantone che
fu Sindaco di Pomigliano a più riprese, sia prima che dopo il ventennio Fascista, perché per me costituisce un
fulgido esempio di coerenza politica.
Non costa, certo, a me, fascista, riconoscere tale virtù in un convinto e integerrimo antifascista. Il Comm. Cantone era avvocato ed iscritto all’Ordine, anche se si occupava più delle sue cariche pubbliche che di cause in Tribunale, infatti, oltre che Sindaco di Pomigliano fu anche Consigliere Provinciale. Quando il regime impose l’iscrizione obbligatoria al P.N.F. per poter esercitare qualsiasi professione o mestiere, don Ercolino, come era affettuosamente chiamato dai pomiglianesi, fu cancellato dall’Albo degli Avvocati ed inibito ad esercitare la professione forense.
Non si piegò e fedele alla sua idea di Liberale, si ritirò da solo, visto che era celibe, al secondo piano del palazzo di famiglia vivacchiando, forse, col poco reddito che riusciva a ricavare dal fitto dei suoi terranei. Ma con l’inflazione galoppante che seguì, certo, non aveva da scialare.
La sorella Antonietta, moglie del dott. Antonio Romano, medico e veterinario, gli fu molto di aiuto, ed essendo sua dirimpettaia, escogitò un marchingegno per passargli il vitto; creò perciò una specie di teleferica fra il suo balcone e quello di don Ercolino sulla quale scorreva un “panariello” col quale riforniva il fratello di vettovaglie senza imporgli l’umiliazione di sedere, da nullafacente, alla tavola del cognato. Ed il panariello viaggiò avanti e indietro per molti anni.
Il Comm. Cantone visse gli anni del ventennio in dignitosa solitudine, ma sempre stimato e rispettato da tutti
i Pomiglianesi. Anzi fu anche oggetto di un eccesso di rispetto da parte di un giovane e brillante avvocato,
Peppino Di Giovanni, Capo Manipolo della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, che al comando del suo
reparto era schierato in piazza Mercato davanti alla Casa del Fascio, allogata all’epoca nel palazzetto di proprietà di mia madre, e ordinò ai suoi Militi il “Presentat’arm” al passaggio del comm. Cantone che con don Gaetano Scialò si stava recando a sedersi fuori la porta del negozio di Ninuccio Andrisani per sentire, come tutta la folla che assiepava la piazza, il discorso di Mussolini la sera del 2 ottobre 1935 per la dichiarazione di guerra all’Etiopia.
Naturalmente Peppino Di Giovanni fu destituito dal grado.
Non così invece capitò a me personalmente. Io, appena uscito dal Collegio dei Padri Gesuiti alla Conocchia
e conseguito la Maturità Classica, fui subito utilizzato dal Fascio locale come Componente del Direttorio del
Fascio con l’incarico di Fiduciario dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista. Poiché a me piace approfondire le
cose in cui sono impegnato, frequentai, con successo, un Corso di preparazione politica per Gerarchi presso la Federazione Provinciale Fascista di Napoli ottenendo dal Segretario Federale dott. Fabio Milone la nomina equipollente a Ispettore Federale, sempre addetto alla Sezione Provinciale dell’I.N.C.F. ma conservando anche la carica nel Fascio locale che mi affidò anche l’incarico dei rapporti con la Direzione dello Stabilimento Alfa e con i Comandi sia Italiano che Tedesco delle Forze Armate dislocate nella Zona nonché il servizio O.P. (Organizzazione Politica) che si occupava di sentire gli umori e le eventuali lamentele della popolazione e di scovare eventuali fonti di disfattismo. In questa veste indagai su una vecchia consuetudine di rispetto per il Comm. Cantone.
I giovani chiamati alle armi, prima di partire, usavano, accompagnati dai padri, recarsi a salutare don Ercolino.
Ebbene dalla mia indagine era risultato che il Cantone diceva loro più o meno così: “Ti raccomando, fai sempre il tuo dovere. Perché se perdiamo la guerra è l’Italia che la perde non Mussolini!”.
Sennonché verso l’inizio del 1942, il Federale dott. Milone mi chiamò e mi redarguì mostrandomi un esposto
che aveva ricevuto in cui si accusava il Cantone di disfattismo proprio in occasione di queste visite di congedo che i giovani gli facevano e s’invocava dal Federale l’applicazione, per lo stesso, del Confino di Polizia.
Il Federale mi invitò perentoriamente a controfirmare nella mia qualità di addetto al “servizio O.P.” la richiesta e si adirò molto al mio categorico rifiuto a farlo, al ché io gli consegnai la mia tessera di Gerarca e gli spiegai che mai avrei potuto, in coscienza, avallare simili calunnie. Il dott. Milone ebbe fiducia in me, mi restituì la tessera e archiviò l’esposto.
Non ho mai raccontato questo fatto né al comm. Cantone né a membri della sua famiglia. Oggi mi è venuta
l’idea di parlarne in questo mio racconto.
Come non dirò mai, neanche in questa sede, chi erano i firmatari dell’esposto, dirò solo che essi, nel dopoguerra, si vantavano di essere i più puri esponenti dell’antifascismo pomiglianese.
E venne il 25 luglio del 1943 ed il fatidico 8 settembre.
Ed arrivarono gli alleati e istallarono il loro Town Mayor al posto del deposto Podestà fascista.
Successivamente, il Governo Militare Alleato cominciò a ricostruire delle normali amministrazioni cittadine
con Sindaci di loro scelta e per Pomigliano la scelta, ovviamente, cadde sul Comm. Cantone. L’avversario di sempre, l’avv. Mauro Leone, che sempre era stato sconfitto elettoralmente dal Cantone, trovò modo di farsi una rivalsa.
Seguendo la tattica del suo maestro Giulio Rodinò, detto “il polpo”, sguinzagliando i suoi seguaci nei partiti
che si andavano riformando, costituì il cosidetto Comitato di Liberazione Nazionale che impose al Governo
Militare Alleato la destituzione del Cantone e la nomina a Sindaco di un loro designato: un giovane onesto ma inesperto, compariello del professore Giovanni Leone, figlio di don Mauro, il Dott. Salvatore Terracciano.
La scelta non piacque ai cittadini che l’appellarono subito “‘O Sinnichicchio”.
E venne il 1946. Le regolari elezioni amministrative vedevano in lizza la lista liberale del Cantone col suo simbolo del “Cavallo”, la lista dei Leoni con il nuovo simbolo “Scudo Crociato” e con la nuova denominazione del partito “Democrazia Cristiana” che aveva sostituito quella di Partito Popolare ed una lista civica di varia composizione che convinsero a capeggiare il Prof. Elia Savelli, già Podestà di Pomigliano all’inizio degli anni trenta.
E don Ercolino vinse ancora una volta, sia pure grazie al sistema maggioritario col quale si era votato. La lista del “Cavallo conquistò 24 Consiglieri su 30, la D.C. solo 6 Consiglieri, e la lista civica nessuno consigliere.
I Pomiglianesi applaudirono clamorosamente quando il Comm. Cantone, come vecchia consuetudine, fece
il giro del paese in carrozza scoperta, con una pariglia di cavalli al traino, per ringraziare gli elettori.
In questo nuovo periodo del sindacato del Comm. Cantone furono impostate le soluzioni dei problemi che
premevano sulla cittadina la quale ormai, dopo la realizzazione dello stabilimento dell’Alfa Romeo, vedeva la sua economia trasformarsi da eminentemente agricola a industriale.
E prima di tutto c’era il problema fognature di cui Pomigliano era completamente sprovvista.
Don Ercolino, profittando che un suo personale amico già Deputato eletto nel Collegio di Pomigliano prima
del fascismo, l’Onorevole Enrico De Nicola, era stato nominato dall’Assemblea Costituente Capo Provvisorio
dello Stato, si adoperò perché il De Nicola intervenisse presso il Ministero dei Lavori Pubblici per perorare uno stanziamento di fondi per la realizzazione della rete fognaria cittadina. Ma i Leone misero il bastone tra le ruote e vanificarono con le loro beghe l’autorevole intervento dell’On. De Nicola. Ebbero anzi l’impudenza di vantarsi di tale intervento ai danni della cittadinanza Pomiglianese, infatti in un comizio per le elezioni politiche del 1948 l’On. Giovanni Leone, Deputato uscente dell’Assemblea Costituente e candidato alla Camera per la Democrazia Cristiana, dal balcone di fronte alla Chiesa di S. Felice dichiarò che mai Pomigliano avrebbe avuto fognature se non quando i Leone si fossero insediati anche al Comune.
La risposta dei Liberali fu affidata alla verve di Mimì Romano, l’estroso Medico Poeta, che dallo stesso balcone, in un comizio della stessa campagna elettorale, dichiarò che i Pomiglianesi si sarebbero tutti muniti di stivali, ma non avrebbero mai votato un Leone a Sindaco di Pomigliano.
Per inciso vorrei raccontare qui un episodio che riguarda in un certo modo la mia famiglia. Quando l’On. De
Nicola era eletto Deputato del Collegio di Pomigliano con l’uninominale, non aveva alle spalle un vero e proprio partito ma in ogni paese del collegio aveva dei gruppi di amici e seguaci che erano coordinati da una persona di sua fiducia. Per Pomigliano questa persona era Antonio Quercia, mio nonno materno, che l’On. De Nicola, anche per rispetto dell’età, chiamava affettuosamente Zi’ ‘Ntonio. Durante una sua visita a Pomigliano, dopo che era stato eletto per quella legislatura Presidente della Camera dei Deputati, alla dichiarazione di mio nonno:
“Come mi piacerebbe vedervi, seduto sulla poltrona di Presidente, dirigere la Seduta!” il De Nicola subito rispose.
“Zi’ ‘Ntonio, vieni a Roma che sarai mio ospite”.
Mio nonno prese la palla al balzo e fatti i relativi preparativi di viaggio si recò a Roma. Fu accolto dal Capo dei Commessi di Montecitorio e accompagnato ad assistere alla Seduta nel palco riservato al Presidente. Dopo, finita la Seduta, lo stesso lo condusse nello studio di De Nicola.
Con il Presidente scese poi nel Transatlantico per l’aperitivo. Mentre sorbivano l’aperitivo mio nonno vide
che nell’angolo della sala si distribuivano gratuitamente i sigari e le sigarette per i Deputati e, memore della
diceria che i prodotti del Monopolio Tabacchi per i Deputati erano di gran lunga migliori di quelli che si
vendevano nei tabacchini, chiese all’On. De Nicola di prendergli un sigaro Michetti, marca che lui fumava,
per poter fare il paragone. Netto il rifiuto del Presidente: “Zi ‘Ntonio sei pazzo?, qua tutti sanno che io non
fumo, si capirebbe subito che l’ho dato a te”.
Anni dopo Presidente della Camera fu l’On. Giovanni Leone; quasi tutta l’entourage democristiana di Pomigliano fumava le Nazionali zigrinate, confezione speciale per il Parlamento.
Purtroppo il comm. Cantone non poté portare a termine il suo mandato perché dopo qualche anno morì.
Gli successe per un breve periodo il Vice Sindaco Avv. Ettore Cucciolito e poi il Consiglio Comunale elesse Sindaco l’avv. Andrea Pranzataro.
Una vecchia legge, in vigore anche durante il ventennio, consentiva ai Sindaci di fissarsi uno stipendio mensile che andava sotto il nome di Indennità di Carica. Mai nessuno però se ne era servito e tantomeno l’aveva fatto il Cantone né prima, né dopo il ventennio, pur avendo subito un notevole danno economico con la sua radiazione dall’Albo degli Avvocati.
E, per la verità, neanche i suoi successori si fissarono indennità di sorta.
Bisognò aspettare che il buon Ciccio Testa costituisse la prima “Giunta di sinistra, democratica ed antifascista
nata dalla Resistenza”, come gli piaceva appellarla, per vedere che fare l’amministratore comunale, Sindaco,
Assessore o semplice Consigliere, non era più un Onore ma un lucroso mestiere. Dei trenta Consiglieri
di quella consiliatura, uno solo, Alberto Di Nuccio, Consigliere di minoranza per la D.C. e che, per la
verità, da accanito fumatore le sue sigarette le aveva sempre comprate dalla “Faustina”, rimise al Comune
l’importo del mandato di pagamento emesso in suo favore.
Oggi, a quando mi si dice, l’importo delle prebende tenuto scrupolosamente Top Secret – è arrivato, legalmente,
a cifre scandalose!
Dicevano i nostri padri latini : “O tempora, o mores!”.

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